Se vi sembra incredibile che un bue parli, quello che vi racconterò in confronto ve lo farà sembrare veritiero.
Sono un vecchio bue da traino, di quelli che non hanno altro scopo nella loro vita che tirare per lunghe giornate l’aratro. Vi posso assicurare che è un lavoro bestiale, e non è un gioco di parole perché noi animali non siamo capaci di queste finezze. Quell’aratro, infatti, per poter fendere il terreno arido ha bisogno di molta forza e tanta, tanta fatica, statene certi.
Ma anche un bue, quando arriva alla vecchiaia, non ce la fa più e viene messo da parte. Solo per riconoscenza il mio fattore non mi ha macellato e mi tiene lì, senza più scopo e senza utilità alcuna, però vivo. In mia compagnia in quella vecchia stalla, un asino anche più vecchio di me e pure lui stanco, dopo aver portato pesi immensi per tutta la sua esistenza.
Una notte ce ne stavamo come sempre in quel capanno, quando fummo svegliati dal rumore di qualcuno che stava entrando. Dapprima pensai che fosse qualche ladro che veniva a rubare degli attrezzi del padrone ma poi, appena illuminati dalla luce che scendeva dalla luna in cielo, intravidi la sagoma di una donna affaticata e di un uomo che la sosteneva. Lei sembrava soffrire parecchio e lui la rincuorava, pur senza grandi risultati.
Quando scoprirono la nostra presenza si spaventarono un poco ma fu solo per un attimo, perché compresero che due vecchie bestie da lavoro non avrebbero potuto fare loro alcun male.
Trovarono un angolo nella paglia dove l’uomo aiutò la giovane donna a stendersi, mentre la nostra curiosità cresceva perché non capivamo bene cosa stesse succedendo. L’asino mi lanciò uno sguardo interrogativo che gli restituii con lo stesso sbigottimento.
Dopo che i due stranieri si furono adagiati, coperti solo dai loro mantelli, sentivamo il lamento della donna intensificarsi.
Non capivamo quello che si dicevano perché sussurravano per non farsi sentire, come se non volessero disturbare chi abitava nella fattoria vicina o forse per paura di essere scoperti.
Ad un certo punto la donna si lasciò andare ad un grido più forte e l’uomo sembrò spaventarsi. Poi un altro urlo, quasi stesse compiendo uno sforzo sovrumano, come quando io tiravo l’aratro che incontrava un masso che lo bloccava e dovevo tirare fuori tutta la forza che avevo per superare l’ostacolo.
Dopo l’ultimo urlo calò per qualche attimo il silenzio, ma un vagito improvviso lo ruppe: era il pianto di un bambino appena nato! Quella donna aveva dato alla luce un bimbo proprio lì, a due passi da noi! Non vi sembra incredibile? Chi erano mai e che cosa ci facevano lì? Che cosa mai aveva interrotto il nostro quieto vivere dentro la nostra stalla che ci avrebbe ospitato fino alla morte?
Sentii la donna piangere ma sembrava non esserci più traccia di dolore in lei, come se tutto quello che l’aveva fatta soffrire fino a quel momento fosse sparito di colpo. Era un pianto di gioia quello che contagiò anche il suo uomo, mentre teneva in braccio il bimbo e glielo porgeva come si offre un dono, lentamente, con delicatezza, guardandolo intensamente tra le lacrime, fino a che non lo posò delicatamente tra le braccia della madre.
Passò un po’ di tempo e i due sembravano riposare, abbracciati fra di loro e avvolgendo il bimbo, che nel frattempo si era calmato, del loro calore.
Mi parve di sentire qualcuno cantare fuori dalla mangiatoia ma, pensai, chi vuoi che canti di gioia in questa notte fredda e buia che avvolge d’oscurità ogni cosa?
Ma fu quello che vidi dopo che mi sconvolse: dall’ingresso della stalla cominciò a filtrare il tremolante lampo di luce di alcune fiaccole. Finché non li vidi bene, illuminati dalle loro torce. Li riconobbi subito quei pastori che incontravo nei campi di tanto in tanto, mentre facevo il mio lavoro. Erano tutti amici del mio padrone e si stavano accalcando davanti alla mangiatoia come se stessero andando al tempio, con gli occhi illuminati certamente dalla luce che portavano ma anche da una strana gioia che gli veniva da dentro. Degli uomini, le loro mogli, i figli, persino le loro pecore, sembravano essersi dati appuntamento davanti alla nostra stalla. Se non è incredibile questo, ditemi voi che cosa lo è!
I due stranieri si accorsero di quell’evento strano ma non sembravano sconvolti, come se ciò che stava accadendo ai loro occhi fosse in qualche modo atteso. La donna fece un cenno all’uomo e lui prese in braccio il bimbo e lo depose delicatamente su un mucchio di fieno davanti a loro, quasi per mostrarlo a quella gente.
Le cose stupefacenti non erano ancora finite, perché i pastori e tutta la gente accorsa cominciarono ad inginocchiarsi davanti a quel bambino, come se fosse qualcosa di sacro, come aveva fatto Mosè davanti al roveto ardente: sembravano aver visto Dio.
Allora voi penserete: ma cosa mai poteva interessare a un vecchio bue tutto quello che stava succedendo, che cosa aveva a che fare con lui?
L’ho pensato anche io, statene certi, sono un bue ma non sono mica scemo! Finché non accadde quello che realmente sconvolse la mia povera vita.
Tutta quella gente adorante aveva accresciuto la mia curiosità per quel bambino e allora decisi di avvicinarmi piano. Appena mi mossi verso il bimbo, il padre scattò per fermarmi, spaventato che potessi fargli del male ma la donna, inspiegabilmente, con un cenno della mano lo tranquillizzò come per dire “non avere paura!” Egli si fermò e proseguii. Con pochi passi fui vicino a quella culla improvvisata.
Il bambino era un bambino come gli altri, niente da dire. Eppure quella gente era lì per lui. C’era qualcosa di strano in tutto questo, davvero.
Feci un altro passo finché non fui con il mio muso proprio sopra il suo visino, eppure il piccolo non sembrava temere. Il fanciullo mi guardò come fanno i bimbi appena nati, che hanno gli occhi grandi come il cuore, spalancati verso la vita appena cominciata, come una sorpresa.
Mi fissò e, anche se lo so che i bimbi appena nati non vedono quasi nulla, mi sembrava che mi guardasse come mai nessuno aveva fatto prima. C’era qualcosa in quel bambino che non saprei dire, eppure io - che ero un animale senza più scopo - mi sentii amato.
Fu allora che mi avvicinai ancora di più e gli alitai sul visetto tutto il calore che potevo, recuperandolo dal profondo dalle mie vecchie membra. Il mio calore gli accarezzò il viso e lui sussultò, come quando una mano calda ti accarezza il viso gelato dal freddo dell’inverno.
Ebbe un brivido e poi - statene certi - mi sorrise. Sorrise a me, un bue, ancora vivo solo per la bontà del suo padrone. Vivo per essere lì in quel momento, per fare veramente qualcosa di buono alla fine della mia vita, donando il calore del mio corpo in cambio del calore che ricevevo da quello sguardo di bambino.
Non vi raccontavo una favola quando vi dicevo che un bue che parla non era la cosa più strana di tutta questa storia!