Non riusciva a darsi pace. Ogni volta che lo vedeva s’intristiva e ci voleva un po’ perché gli passasse. Gli succedeva tutte le volte che incrociava quell’anziano signore con la schiena ricurva a tal punto da farlo somigliare a un gancio, costringendolo a camminare con la testa piegata in basso. Lo vedeva da lontano mentre tornava da scuola con la sua mamma e ogni volta s’incupiva.
Non riusciva a sopportare che un uomo dovesse guardare sempre solo per terra, senza poter vedere le persone care negli occhi, senza poter ammirare quello che gli stava intorno, le cose, tutto.
Finché un giorno si decise. Tornando a casa da scuola senza sua mamma, quando incrociò il vecchietto ricurvo si fece coraggio e gli si parò innanzi. Dovette spingersi fino a bloccargli quasi la strada affinché l’anziano signore finalmente lo vedesse e si arrestasse di colpo, sorpreso.
Ci fu qualche istante d’imbarazzo durante il quale si scrutarono negli occhi. L’anziano comprese subito che il piccolo non rappresentava una minaccia e il ragazzino fu sorpreso di vedere quegli occhi splendenti e vivaci di un azzurro intenso.
“Buongiorno!”, disse il ragazzino al vecchio.
“Buongiorno a te, piccolo!”, replicò l’altro esitando.
“Mi chiamo Marco, ho 8 anni ed è da un bel po’ che voglio farti una domanda”, disse il bambino, senza rendersi nemmeno conto che gli aveva dato subito del tu, come si fa con un vecchio nonno, quasi lo conoscesse da tutta la vita.
“Io mi chiamo Gerolamo e ho 85 anni, dimmi pure”, replicò quasi divertito il vecchio signore.
“Dunque, mi spiace che tu debba stare così…”
“Così come?”, chiese il vecchio.
“Insomma, tutto ricurvo come una foglia rinsecchita, con lo sguardo basso basso, senza poter vedere quello che ti sta attorno…”
Il vecchio non riuscì a trattenere un sorriso per come il bambino gli aveva parlato, diretto e franco tuttavia senza volerlo ferire.
“Oh, vedi caro, sono così da molto tempo e mi ci sono abituato…”
“Io non potrei mai abituarmi”, replicò il piccolo con decisione. “Non potrei stare senza guardare il viso di mia mamma, il mio papà mentre lavora, persino la mia sorellina che mi fa arrabbiare sempre…”
“Capisco, piccolo mio, capisco”, rispose il vecchio, sorpreso da quelle parole.
Il ragazzino incalzò: “Proprio non comprendo come fai…”
“Oh, non ti preoccupare, tutto quello che ho visto nella mia lunga vita è vivido nei miei ricordi. Anche se non guardo più il viso di mia moglie che, pace all’anima sua, è salita in cielo, me lo ricordo come se fosse qui ora. Così le facce dei miei figli che non vedo spesso, sono impresse qui”, disse battendosi il petto.
Il ragazzino non sembrava convinto e riprese: “Ma ci sarà qualcosa che vorresti guardare e che non riesci proprio…”
Il vecchio ci pensò un secondo e poi rispose: “In verità c’è una cosa che vorrei rivedere, perché la memoria non basta a farmela godere…”
Marco si riaccese: “Dimmi, dimmi, che cosa?”
“Vorrei tornare a vedere il cielo. Vedi, non mi basta ricordarlo, vorrei proprio vederlo e rivivere l’emozione di quando lo guardavo disteso su un prato accanto alla mia donna. Ecco, sì, vorrei tornare a vedere il cielo.”
Il ragazzino rimase sorpreso da questo desiderio e notò subito che nelle ultime parole di Gerolamo si era insinuata una vena di amara tristezza.
“Ma non è possibile. Ormai non è più possibile.”, concluse il vecchio, sempre più rassegnato.
Marco si avvicinò un po’ di più per vedere meglio gli occhi azzurri di Gerolamo e notò che erano inumiditi da un velo di pianto leggero, appena accennato.
In quel momento Marco decise che avrebbe fatto qualsiasi cosa per soddisfare quel desiderio di un uomo così deforme e costretto a rivivere solo nel ricordo tutte le cose belle della sua vita.
Non sapeva davvero come, ma giurò a se stesso che qualcosa avrebbe fatto.
“Mi spiace Gerolamo, ma non temere: tu rivedrai il cielo!”
Il vecchio sussultò ancora una volta per la sorpresa che quel ragazzino rappresentava per la sua monotona giornata, per la sua vita. Così come Marco era apparso improvvisamente davanti ai suoi occhi, egli scomparve senza nemmeno salutare, come fanno spesso i bambini, presi da altro, in cerca di nuovi orizzonti per la loro fantasia.
Per qualche giorno Marco non incontrò più Gerolamo sulla sua strada ma rimuginava quello che il vecchio gli aveva detto, cercando di trovare un modo per esaudire il suo desiderio.
Fu così che gli venne un’idea che lì per lì lui stesso trovò alquanto stupida ma che, inspiegabilmente, lo mobilitò. Si mise infatti a rovistare come un matto in mezzo alle cose vecchie che suo padre depositava continuamente nel loro garage. Cercava qualcosa e lo trovò. Gli esplose il cuore dalla gioia quando lo infilò nel suo zaino di scuola.
Quando ormai Marco disperava di non vedere più Gerolamo e di aver fatto tutto per nulla, un giorno lo intravvide sul lato opposto della strada. Approfittando di una distrazione della mamma che si era fermata a chiacchierare con una signora, attraversò di corsa la strada e, come la volta precedente, si piazzò davanti al vecchio signore d’improvviso facendolo quasi cadere per lo spavento.
“Marco!”
“Ciao Gerolamo!”
“Che succede? E’ un piacere rivederti!”
“Ho trovato un modo…”
“Un modo per cosa?”, rispose Gerolamo, gustando fino in fondo ancora una volta tutta la sorpresa per quello strano bambino che incrociava così il nulla della sua vita.
“Un modo per soddisfare il tuo desiderio.”
Il vecchio nemmeno ricordava quello che gli aveva detto e fece trasparire nel volto la propria perplessità.
“…Per farti tornare e vedere il cielo!”, ribadì Marco con entusiasmo.
“Ah, quel desiderio…”, replicò Gerolamo quasi a volerlo sminuire.
“Ecco”, disse il ragazzino e, mentre lo diceva, posò lo zaino per terra e cominciò a cercare qualcosa in mezzo ai libri. Dopo qualche istante tirò fuori uno specchio, di quelli grandi che la mamma usava per truccarsi poggiandolo sul tavolino della camera, grande abbastanza da stare nel suo zaino. Prese lo specchio con entrambe le mani e lo pose sotto allo sguardo attonito del vecchio signore, cambiandone l’angolazione come in cerca della posizione giusta.
“Lo vedi?”
“Che cosa Marco?”
“Il cielo!”
Improvvisamente, togliendo lo sguardo dal ragazzino e spostandolo finalmente sullo specchio il vecchio lo vide: il cielo azzurro di primavera appena punteggiato da piccole nuvole bianche, di un colore così intenso e bello come non aveva mai visto prima. Il cielo. Rivisse in quell’istante tutte le sensazioni che aveva provato quelle volte in cui, non distratto dalle mille cose della vita, aveva guardato il cielo per davvero. Fu uno spettacolo immenso che gli mosse il cuore fino alle lacrime cariche di dignità, piene di affetto per quel ragazzino mezzo pazzo che aveva preso così sul serio le parole di un povero vecchio rimbambito.
Marco notò la gioia spalancarsi sul volto di Gerolamo che, esplodendo come un fuoco d’artificio, lo contagiò fin dentro alle ossa ed egli, d’istinto, poggiò lo specchio e abbracciò le gambe del vecchio, entrambi ebbri di felicità.
Restarono così abbracciati per qualche istante, mentre la mamma di Marco rimaneva stupefatta davanti a quella scena.
Il ragazzino si staccò dal vecchio, sollevò da terra lo specchio e glielo porse delicatamente.
“Ora potrai vedere il cielo ogni volta che vorrai e, quando lo farai, ti ricorderai di me”
“Stanne certo piccolo, grazie davvero.”