"Sei il figlio di un malvivente! Sei il figlio di un malvivente!"
Le parole riecheggiavano nella sua mente con il tono di una filastrocca. Era ogni volta come se riaccadesse di nuovo e tutto il dolore delle vergogna si ripresentasse. Perché quello che i suoi compagni di giochi gli urlavano contro era vero: lui era il figlio di un ladro, giudicato e condannato, senza appello. Aveva rubato i soldi delle elemosine del tempio e non c'era reato più grave della profanazione.
Eppure il suo cuore si ribellava a quella verità. Quando suo padre rientrava alla fine di ogni giornata, affranto e amareggiato per non aver trovato lavoro e senza avere nulla da offrire alla sua famiglia, sentiva la sua mano calda e callosa posarsi teneramente con una carezza sulla sua testa di ragazzo. Quell’uomo, che compiva un gesto così amorevole, non poteva essere schiavo del male. Con quelle carezze era come se di schianto tutto il male che suo padre poteva aver fatto svanisse. Per quel ragazzo restava solo la carezza di ogni sera e nient’altro.
"Sei il figlio di un malvivente! Sei il figlio di un malvivente!"
La condanna di suo padre si trasformava nella sua stessa condanna: non avrebbe potuto più ricevere le sue carezze perché stavano per eseguire la sentenza, ed era una sentenza di morte. La più crudele ed efferata, dolorosa: quel giorno stesso sarebbe stato crocifisso in cima al colle, davanti a tutti.
"Sei il figlio di un malvivente! Sei il figlio di un malvivente!"
Sua madre lo aveva implorato di non andare, perché non era una cosa per lui vedere suo padre crocifisso e ucciso. Un ragazzo della sua età non doveva assistere e la vergogna avrebbe dovuto tenerlo lontano. Lei non sarebbe andata, il dolore era troppo forte e se ne stava come inebetita a guardare fuori dalla finestra, aspettando invano che l'amore della sua vita tornasse e la baciasse.
"Sei il figlio di un malvivente! Sei il figlio di un malvivente!"
Quando arrivò in cima al Golgota vide suo padre già sospeso sulla croce insieme ad altri due condannati. C’era una gran folla e sembrava che la gente prestasse attenzione solo a quello che stava nel mezzo, urlandogli contro con ferocia parole per lui incomprensibili. La gente sembrava indiavolata e urlava contro quell’uomo come se egli avesse compiuto il male più efferato, male che chiama altro male, dolore che chiama altro dolore. Persino suo padre, con il volto già devastato dagli spasmi, guardava verso quell'uomo.
All’improvviso calò un silenzio surreale e, finalmente, il ragazzo poté vedere il volto di suo padre. Voleva guardarlo negli occhi per capire. Voleva leggergli negli occhi perché aveva fatto quello che aveva fatto, perché aveva scelto il male, lui che non aveva mai ceduto alla paura, al lamento, alla perfidia: perché aveva costretto se stesso e tutta la loro famiglia alla vergogna.
Ma suo padre sembrava non vederlo o forse provava troppa vergogna per incrociare lo sguardo di suo figlio ai piedi della croce.
Nel silenzio che si creò, riuscì chiaramente a sentire il terzo condannato inveire a sua volta contro lo sconosciuto che tutti sembravano odiare. Lo sorprese sentire suo padre riprenderlo con un filo di voce poiché, gli disse, quel poveretto non aveva fatto nulla di male ed era punito ingiustamente, mentre loro meritavano davvero quel castigo di morte.
Finalmente suo padre abbassò lo sguardo e incrociò quello del figlio. In un attimo comprese che tutto il male che suo padre aveva compiuto non aveva cancellato la tenerezza dai suoi occhi e lo sguardo amorevole verso suo figlio. Dall'alto di quella croce gli sembrò di risentire la carezza che gli rivolgeva ogni volta che tornava a casa. Capì che il male che aveva fatto non era tutto di lui, il suo errore non era l'ultima parola. Nel suo sguardo c’era ancora tutto l'amore, immutato e irriducibile, verso suo figlio in una richiesta di perdono.
“Perdonami, figlio mio”, gli sussurrò piano.
L'uomo allora distolse lo sguardo da quello del ragazzo, quando lo sconosciuto che tutti odiavano gli rivolse la parola. Egli parlò con un filo sottile di voce e il ragazzo non riuscì a comprendere se non l’ultima parola: “paradiso”. Quello che accadde fu sconvolgente: il volto di suo padre si illuminò, quasi stesse rinascendo in quello stesso momento, mentre si trovava nell'abisso della morte. Sembrava felice, pur se travolto dal dolore e dalla paura di una fine imminente. Era un delinquente che incontrava la sua pena eppure appariva trasformato: sembrava non sentire più dolore, con il volto segnato da un sorriso impossibile.
Ripensò a tutte le volte che lo aveva perdonato per le sue sciocchezze di ragazzo e di come si sentisse quando lo abbracciava di nuovo, dopo averlo sgridato. Leggeva sul suo volto lo stesso sollievo e comprese che anche suo padre si sentiva perdonato.
In quel momento, sentendosi travolto da una strana fusione di tutto il dolore del mondo insieme alla gioia più piena, fu preso da singulti di pianto irrefrenabili che lo scossero fino alle midolla.
Fra i singhiozzi riuscì a pensare che sarebbe stato bello se anche sua madre fosse stata lì in quel momento per vedere.
Il padre curvò lentamente il capo verso il ragazzo e gli sorrise un'ultima volta.