IL SEME
Racconto di Mauro Bighin
Pasqua 2025
Le avevano detto che avrebbe avuto dieci giorni di tempo per ripensarci. Sarebbero stati i dieci giorni più terribili di tutta la sua vita. Avrebbe preferito non aver più alcuna possibilità di tornare indietro, una volta presa la drammatica decisione.
Non lo aveva nemmeno voluto vedere nascere, preannunciando ai medici la sua scelta. Ma il suo pianto, appena uscito dalla sua stessa carne, aveva cambiato tutto. Quel suono si era conficcato nelle sue orecchie, nel suo cervello e nel cuore, come un’incancellabile scalfittura nel marmo rugoso del suo essere. Quel fragile vagito aveva sconvolto ogni suo piano, sgretolato ogni certezza, ogni decisione.
Era come se tutto il male da cui quel piccolo essere sembrava essere sgorgato, di colpo non esistesse più. Un semplice vagito di pochi istanti aveva trasfigurato la sua anima di madre per sempre.

Eppure la decisione era presa. Che madre sarebbe mai quella che fa venire al mondo una creatura frutto di una violenza inaudita e di un padre scellerato incapace di bene? Nessuno avrebbe potuto far nascere un bimbo dentro tutta quella sofferenza in cui si era lasciata sprofondare, nel male che l’aveva avvinghiata come pece nera bollente, trascinandola in un abisso senza fine. La decisione era ormai presa e non poteva tornare indietro.
Appena i medici erano usciti dalla sua stanza si era ritrovata di nuovo sola, con il suo peso di piombo sul cuore. Era la cosa giusta da fare, si ripeteva. Lasciatemi stare, avrebbe voluto gridare ma nessuno avrebbe potuto ascoltare il suo grido.
Finalmente sola, provò a riposare un poco.

“Signora!”
Le sembrò di sentire una voce di bimbo in sogno e le si strinse il cuore in una fitta.
“Signora!”
Sentì di nuovo quella voce di bambino che la chiamava e capì che non stava sognando. Aprì gli occhi e vide un ragazzino intorno ai cinque o sei anni che la scrutava dalla porta della sua stanza lasciata socchiusa dagli infermieri.
Lei lo guardò stupefatta e spiazzata, facendo passare qualche istante prima di rispondere.
“Ehi, ragazzino, come posso aiutarti?”, disse dolcemente.
“Signora, anche lei come mia mamma? Lo sa che ho appena avuto un fratellino?”
La domanda le arrivò come una frustata eppure non ebbe il coraggio di interrompere brutalmente quel dialogo come sarebbe stato nella logica delle cose.
“Bene, sono contenta per te!”, rispose con poca convinzione e nascondendo malamente tutto il dolore che provava.
“Lo chiameremo Marco, lo sa? E lei come chiamerà il suo?”
Di nuovo era come se le parole incidessero a fuoco il suo cuore e lo squartassero in mille pezzi. Di colpo si rese conto che non aveva mai pensato a un nome per quel bimbo rifiutato. Ci avrebbe pensato qualcun altro.
“Tu come ti chiami?”, chiese la donna.
“Tommaso!”, rispose il ragazzino.
“Bene, allora, visto che non avevo ancora deciso, lo chiamerò come te, perché Tommaso è un bellissimo nome.”
“Davvero? Sono felice che ci sia un altro Tommaso come me! Magari lui e il mio fratellino diventeranno amici quando andranno a scuola. Io ho tanti amici sa? Ma ora devo scappare perché fra poco me lo fanno vedere, il mio fratellino. Poi il mio papà mi starà cercando e se mi trova qui sono guai!”
“Bene Tommaso, torna dal tuo papà e dai un bacio a Marco.”
Il bimbo la salutò con la manina e le sorrise, richiudendo la porta dietro di sé.
Lei rimase pietrificata da quel dialogo surreale eppure così vero. Dentro di lei si combatteva una battaglia fra due sentimenti contrastanti: da una parte tutto il dolore che la scena nascostamente causava al suo essere più profondo, dall’altra la letizia contagiosa di quel bambino che era come uno specchio in cui si riflettevano le poche tracce di speranza rimaste nel suo cuore.
Si sorprese persino a immaginare i due bambini, Marco e il suo Tommaso, giocare insieme come nella profezia del ragazzino. Nonostante ci provasse, non riusciva a cancellare questo pensiero e ripeteva dentro di sé “Tommaso, Tommaso, Tommaso!” finché le lacrime non sgorgarono finalmente copiose, fatte di dolore e di gioia insieme. Come era possibile?
Balzò dal letto quasi anestetizzata dai dolori che il parto aveva lasciato e uscì velocemente dalla sua stanza per cercare Tommaso e guardarlo sorridere di nuovo: era ciò di cui aveva più bisogno al mondo in quell’istante. Ma davanti alla vetrina dei bimbi appena nati non c’era già più nessuno.

“Tommaso, il suo nome sarà Tommaso”, ripetè al dottore incredulo dopo appena tre giorni dalla nascita del bambino.
Tutto il male che aveva vissuto, tutta la paura che l’attanagliava anche in quello stesso momento, tutte le insidie e le incertezze che l’attendevano non erano più nulla.
Forse, per la prima volta, nella sua vita provava la gioia pur dentro la paura, la letizia dentro allo sconforto, la pace dentro alla catastrofe.
Non immaginava nemmeno cosa sarebbe stato della sua vita da quel momento in poi, ma sapeva di certo che stava cominciando tutto di nuovo.
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