Il piccolo cavaliere
Racconto di Mauro Bighin
Natale 2020
Si diede un pizzicotto come aveva visto fare nei film, per capire se stesse sognando.
Stava sorvolando la sua città come un uccello in una notte d’inverno, eppure non sentiva freddo, vestito solo del suo pigiama con le bestiole disegnate.
Strano - pensò - io che ho sempre freddo anche sotto il piumone che la mia mamma mi rimbocca ogni sera, accarezzandolo con dolcezza come se stesse accarezzando me.
Quel pizzicotto non lo aveva svegliato ed era quindi tutto vero. Si godette il volo, mentre sotto di sé vedeva sfilare luci natalizie multicolore che si accendevano e spegnevano con effetti imprevedibili. Non gli erano mai sembrate così belle come quella sera.

Per una attimo, preso da tanta meraviglia, si era quasi dimenticato della sua missione: liberare il nonno dai cattivi che l’avevano rinchiuso in un enorme palazzo con una croce in cima. Stava volando da lui per liberarlo, abbracciarlo e baciarlo come da tempo non poteva più fare.

Gli dicevano che stava bene, ma lui mica ci credeva. Se stava davvero così bene, perché non lo liberavano e non tornava da lui? Tanto più che il Natale era vicino e i regali del nonno battevano sempre quelli di tutti gli altri, persino quelli di mamma e papà, che poi - diciamoci la verità - erano cose che lui chiedeva. Invece il nonno no, lo sorprendeva ogni volta con un regalo inaspettato, qualcosa che quasi nemmeno lui stesso sapeva di desiderare. Suo nonno era magico, leggeva nella mente di chiunque.

Niente da fare, se lo tenevano prigioniero qualcosa andava fatto. Ed eccolo lì a volare sui tetti della case, prima quelle dei vicini, del suo amico Matteo e di Lara - la bimba di cui pensava di essere innamorato. Poi tutto il resto del mondo scorreva sotto di lui, fino a che non vide la grande croce che sovrastava l’enorme palazzo illuminato dove il nonno era stato rinchiuso, certamente da perfidi uomini che avrebbero presto capito di che pasta era fatto suo nipote.

Scese a terra senza fatica, un po’ come fanno i supereroi, quasi avesse dei razzi invisibili sotto ai piedi. Toccò terra con delicatezza per non farsi male e si diresse verso il cancello di quel maniero. Strano - pensò - non c’è neanche una guardia a vegliare. Meglio così, sarà tutto più semplice.

Varcò la prima porta che si aprì magicamente al suo avvicinarsi, come se il potere maligno di quel luogo stesse aspettando proprio lui e gli dicesse: “Vieni dentro, ti aspetto!”
Fece qualche passo esitante, controllando che non saltasse fuori all’improvviso qualche soldato che lo avrebbe affettato con una lancia. Invece niente, via libera.

Sembrava tutto deserto e questo lo sorprese molto perché, al guardarlo da fuori, quel palazzo doveva contenere molta gente. Magari erano tutti a dormire, ma possibile che nessuno facesse la guardia? Ma questo non gli interessava troppo, lui aveva la sua missione da compiere e si diresse, quasi per istinto, verso un lungo corridoio malamente illuminato da neon difettosi che minacciavano di spegnersi da un momento all’altro. Notò una piccola telecamera sul soffitto e capì che lo stavano spiando, seguivano ogni sua mossa e presto si sarebbero fatti vivi per impossessarsi anche di lui.
Prima di gettarsi nella semioscurità del corridoio, gli cadde l’occhio in un angolo della stanza e vide un presepe. Si sentì confuso: che ci faceva lì un presepe? Diede uno sguardo veloce dentro la capanna e vide che Gesù Bambino era già al suo posto. Non è mica giusto - rifletté - a me lo fanno mettere solo il giorno di Natale!
Per un attimo gli parve che il bimbo gli facesse l’occhiolino ma certamente se l’era inventato, anche se ora sentiva di avere ancora più coraggio per affrontare l’oscurità.

Prima che la paura gli facesse cambiare idea, cominciò a correre lungo il corridoio oscuro, fino a fermarsi davanti a una porta chiusa. Se lo sentiva che il nonno lo tenevano lì dentro. Non si domandò nemmeno da dove gli arrivasse quella sicurezza, perché ormai l’avventura era iniziata e troppe domande non servivano all’impresa.
Appoggiò l’orecchio alla porta, come faceva quando sentiva mamma e papà litigare nella loro stanza, anche se in verità facevano di tutto per non farsi sentire. Lui ascoltava ma non capiva. Quello che sapeva, però, era che poi non litigavano più e che la mattina seguente si baciavano sulla bocca - cosa che non gli piaceva un granché - e si volevano ancora bene. Questo gli bastava.

Con l’orecchio poggiato alla porta cominciò a sentire suoni paurosi, come di animali in gabbia, ritmici, costanti, senza pausa. A volte gli sembrava di sentire il sibilo di un drago mentre faceva uscire il suo vapore mefitico dal naso. Immaginò il povero nonno legato, paralizzato dalla paura che quelle bestie gli facevano, alitandogli contro i loro vapori cattivi.

Pensò che era giunto il momento di affrontarli e di liberare il nonno. Abbassò la maniglia della porta e sbirciò dentro, per capire con chi stesse per confrontarsi. Quello che vide lo terrorizzò: cavalieri bardati dalla testa ai piedi, con visiere, guanti ed elmi trasparenti, tutti intorno a quello che riconobbe subito come il suo caro nonno che dormiva. Vedeva il suo petto alzarsi ed abbassarsi al ritmo di quei fruscii fastidiosi che ora si facevano più nitidi. Il suo viso era imprigionato da una maschera da cui uscivano tentacoli, quasi quei cavalieri gli stessero tirando fuori l’anima.
Notò intorno al nonno minacciose scatole da cui scaturivano le spire che lo tenevano prigioniero. Se avessi portato una spada - si disse - avrei potuto mozzare le zampe di quei mostri assurdi.

Allora si fece coraggio e spalancò la porta minaccioso. “Lasciatelo stare!” intimò loro. Urlò di nuovo: “Lasciate stare mio nonno!” Ma essi proprio non lo sentirono. Pareva invisibile e tutti continuavano a fare quello che facevano, impegnati nelle loro azioni malevole, senza tregua attorno al nonno.
Che strano - si disse - che razza di cavalieri sono mai questi?
Con timore, fece qualche passo e si avvicinò, senza che nessuno lo notasse. Riuscì con facilità ad arrivare al letto in cui il nonno era stato fatto prigioniero. Vide la sua mano sinistra penzolare e gliela prese, ricevendone immediatamente il calore e tutta la sicurezza che gli serviva.
“Nonno”, sussurrò, quasi per non farsi sentire da quei tizi che, pur tuttavia, continuavano ad ignorarlo. “Nonno”, ripetè un poco più forte.
Allora accadde qualcosa di veramente magico: il nonno aprì gli occhi e lo guardò, come solo lui sapeva fare, sorridendogli da dietro lo scafandro in cui l’avevano costretto.
“Luca, cosa ci fai qui?”, gli chiese sottovoce.
“Nonno, sono venuto a liberarti!”, rispose.
“Ah, grazie piccolo mio, sei proprio coraggioso!”
“Non potevo mica lasciarti qui. Presto vieni via con me!”
“Piccolo caro, vorrei ma proprio non posso seguirti. Devi avere pazienza ancora qualche giorno e poi verrò a casa!”
“Perché non puoi scappare via con me?”
“Ora non ne ho la forza, ma presto potrò farlo, se saprò che tu mi aspetterai.”
“Ti aspetterò anche fino all’eternità, se serve, nonno!”
“Allora ci vediamo presto, vai su, torna a casa.”

Fu svegliato di soprassalto dalla mano di suo papà che gli accarezzava la testa. “Luca, sveglia, preparati in fretta, perché il nonno sta per tornare a casa!”
La notizia lo fece balzare dal letto, sospinto da una gioia irrefrenabile. Si sentiva così leggero, come se stesse ancora sorvolando la città, felice che i pizzicotti non funzionassero come nei film.
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